PETER GABRIEL “Don’t Give Up”, dall’album “SO”, pubblicato il 19 maggio del 1986.
Ci son canzoni che sembrano discorsi al bancone di un bar.
Quei discorsi fatti sul tardi, quando il gestore sta già tirando su le sedie e passando lo straccio.
Parole colme di verità, che in forma di sfogo pungono la resistenza al banale.
Amori finiti, amici distratti, lavoro che non c’è.
E la scena è quasi sempre a due, con uno che lascia fluire le sue crisi e l’altro che puntualmente risponde:
“non arrenderti perché hai amici, non arrenderti non ti hanno ancora battuto, non arrenderti so che puoi farcela”
Peter Gabriel era stato la vacca sacra del rock ai tempi dei Genesis e poi, una volta scelta la strada del solismo, si era presto spostato su sentieri meno facili e a tratti apparentemente sbilanciati verso un intellettualismo cyber tribale.
Nel ’86 però, il mondo del rock è reduce dalla messa cantata in mondovisione del Live Aid e ha una nuova pelle da esibire.
Una pelle nuda, senza brillantini, diretta e semplice come le parole sospinte dal vino a tarda notte in un bar.
“In questa terra fiera siamo cresciuti forti ed eravamo desiderati da tutti, mi hanno insegnato a combattere, a vincere, ma non avrei mai pensato di arrivare perdere”
La crisi spazza via certezze e il lavoro d’improvviso non c’è più e così i pilastri di un’educazione alla vita che posavano su possibilità un tempo scontate.
L’uomo solo di fronte alla caduta del suo mondo esterno.
E nessuno sforzo sembra portare miglioramenti:
“ho cambiato faccia, ho cambiato nome ma nessuno ti vuole quando sei un perdente”
La recessione è come un vento forte che non sembra placarsi, una bufera da cui pare più naturale ripararsi che non uscire per vincerla.
Emblematico era il video con Gabriel e Kate Bush (qui seconda voce) stretti in un abbraccio eterno che era metafora sia di autodifesa che di forza interiore che solo con l’unione si può trovare.
Perché se è vero che la disperazione porta a vedere solo buio è altrettanto vero che la condivisione dell’esperienza (anche quella terribile della perdita di lavoro e soldi) può far nascere nuove opportunità e soprattutto nuovi orizzonti da esplorare che da soli nemmeno erano colti in lontananza.
Il dialogo intanto prosegue con la triste realtà:
“andai in un altra città e provai duramente ad adeguarmi per qualsiasi lavoro, così tanti uomini così tanti uomini che però non servono a nessuno”.
La nuova speranza però c’è e sta nella partecipazione, nella comunità.
“Non arrenderti perché hai amici, non arrenderti non sei l’unico, non arrenderti non c’è nessuna ragione di vergognarsi, non arrenderti hai ancora noi, non arrenderti adesso siamo fieri di chi sei, non arrenderti sai che non è mai stato facile, non arrenderti perché credo che c’è quel posto, quel posto che a tutti noi spetta”.
Gaber cantava che “libertà è partecipazione”, il gioco di parole tra Gaber e Gabriel è facile e nemmeno troppo riuscito ma di certo c’è una cosa che dice “Don’t Give Up” ed è che nessuna ricerca è vana se è condivisa e che il primo passo per la soluzione di un problema è sempre quello che porta a parlarne con chi ti sta accanto. (Marco Ghiotto scrive e insegna di musica. E’ autore di PopLife)