Contratti di lavoro

LAVORO SUBORDINATO

1. Contratto a tempo indeterminato
2. Contratto a tempo determinato
3. Contratto di inserimento
4. Somministrazione di mano d’opera
5. Apprendistato
6. Part-time
7. Lavoro ripartito (job-sharing)
8. Contratto di lavoro a domicilio
9. Distacco o comando
10. Contratto di lavoro intermittente
11. Telelavoro (lavoro a distanza)

LAVORO AUTONOMO

12. Lavoro occasionale ordinario
13. Contratto di appalto
14. Libera professione con partita IVA
15. Contratto di associazione in partecipazione
16. Lavoro occasionale accessorio

LAVORO PARASUBORDINATO

17. Contratto di agenzia (agenti e rappresentanti)
18. Contratto a progetto

ALTRE FORME DI LAVORO

19. Tirocinio formativo e di orientamento
20. Tirocini estivi
21. Piani per l’Inserimento professionale (PIP)

1. Contratto a tempo indeterminato

Il contratto a tempo indeterminato si ha quando non è fissata a priori la durata, e riguarda la generalità dei contratti di lavoro (contratti tipici).

Per il lavoratore, l’assunzione a tempo indeterminato è il contratto che offre maggiori garanzie. L’azienda, infatti, è obbligata ad assicurare (tramite l’INAIL) il dipendente, che viene così tutelato in caso di possibili danni a sé e a terzi mentre svolge la propria prestazione, versa le imposte sul reddito al posto del dipendente (la legge prevede infatti che l’azienda sia il “sostituto d’imposta” del lavoratore), e paga inoltre i contributi per la pensione all’INPS.

Al dipendente spettano poi un certo numero di giorni di ferie pagate dall’azienda, la tredicesima (ovvero uno stipendio oltre a quello dei dodici mesi) e, per le donne, i permessi per la maternità corrispondenti a un minimo di cinque mesi con la garanzia di non perdere l’impiego. Nessun lavoratore può poi essere licenziato “in tronco” se non per giusta causa (se commette un furto, ecc.) oppure per giustificato motivo (crisi dell’azienda o chiusura della stessa).

Il contratto di assunzione può prevedere, con atto scritto, un periodo di prova di durata variabile a seconda del livello e dell’inquadramento (si va da un minimo di 15 giorni per gli operai a periodi di sei mesi per quadri e dirigenti). Durante questo periodo, sia il lavoratore che l’azienda possono interrompere il rapporto senza preavviso, ovvero da un giorno con l’altro, per qualunque motivo.

Anche dopo il periodo di prova, il lavoratore può dare le dimissioni quando lo desidera. E’ tenuto però a dare all’azienda un tempo di preavviso (variabile a seconda del livello e dell’anzianità) prima di poter lasciare definitivamente la società. L’impresa è quindi tenuta a pagare al proprio dipendente il ” trattamento di fine rapporto” (la cosiddetta liquidazione), che sarà maggiore quanto più lungo è stato il rapporto di lavoro.

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2. Contratto a tempo determinato

In particolari situazioni le aziende sono autorizzate ad assumere dipendenti a tempo determinato: ciò significa che, terminato il periodo indicato dal contratto, il lavoratore terminerà la sua prestazione e non riceverà ulteriore retribuzione.

L’assunzione del lavoratore con contratto a termine è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.

Per ragioni tecniche si devono intendere ad esempio quelle derivanti dalla necessità temporanea di dover assumere personale specializzato per un determinato lavoro che i dipendenti in forza non sono in grado di poter svolgere.

Le ragioni produttive ed organizzative possono ricorrere quando il datore di lavoro assuma nuovo personale per far fronte a temporanee azioni di mercato o per commesse eccezionali.

Per ragioni di sostituzione si deve intendere la possibilità di assumere per sostituire lavoratori momentaneamente assenti (per malattia, per maternità, per aspettativa, per infortunio, ecc.). Esiste un solo limite da rispettare che è quello dell’assunzione di lavoratori a termine che non è ammessa quando la sostituzione riguardi lavoratori che esercitano il diritto di sciopero.

La legge prevede inoltre che il termine del contratto possa essere, con il consenso del lavoratore, prorogato una sola volta e solo quando la durata del contratto sia inferiore a 3 anni. In ogni caso, e soltanto nell’ipotesi della proroga, la durata complessiva del rapporto non può superare i 3 anni.

Al lavoratore con contratto a tempo determinato, in base al principio di non discriminazione, spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilità, il Tfr e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato inquadrati nello stesso livello.

Infine, è bene precisare che un rapporto di lavoro a tempo determinato per produrre effetti deve essere stipulato per atto scritto e dove sono specificate anche le ragioni, con la conseguenza che in mancanza il contratto si considera a tempo indeterminato.

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3. Contratto di inserimento

La legge Biagi pone termine all’esperienza del contratto di formazione e lavoro, che cessa di esistere e viene sostituito con “il contratto di inserimento”.

Questo nuovo contratto ha la funzione di inserire o reinserire il lavoratore nel mercato del lavoro mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo.

Il contratto di formazione e lavoro, rimane, invece, applicabile nelle pubbliche amministrazioni.

Possono stipulare il nuovo contratto di inserimento:

  • Enti pubblici economici, imprese e loro consorzi;
  • Gruppi di imprese;
  • Associazioni professionali, socio-culturali, sportive;
  • Fondazioni;
  • Enti di ricerca, pubblici e privati;
  • Organizzazioni e associazioni di categoria.

Il contratto può essere indirizzato a :

  • Soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni;
  • Disoccupati di lunga durata, da ventinove a trentadue anni;
  • Lavoratori con più di cinquanta anni di età, privi di un posto di lavoro;
  • Lavoratori che vogliano riprendere a lavorare dopo almeno due anni di inattività;
  • Donne di qualsiasi età residenti in aree geografiche il cui tasso di occupazione è più basso di quello maschile;
  • Persone riconosciute affette da un grave handicap fisico, mentale o psichico.

Per la stipula del contratto è obbligatoria la forma scritta e nel contratto deve essere specificamente indicato il progetto individuale di inserimento.

In ogni caso, la durata non dovrà essere inferiore a nove mesi e superiore a diciotto. Nel calcolo del periodo massimo non si tiene conto dei periodi di servizio militare, di astensione per maternità. Il contratto può essere prorogato più volte, anche senza la necessità di allegare specifiche motivazioni, purchè in coerenza con il progetto individuale d’inserimento.

La durata massima del contratto prorogato non può superare il limite legale di diciotto mesi. Sono previste agevolazioni contributive per le aziende che sottoscrivono contratti d’inserimento che abbiano una durata di almeno 12 mesi.

Al contratto di inserimento si applicano per quanto compatibili le previsioni relative ai contratti di lavoro subordinato a tempo determinato. L’inquadramento del lavoratore assunto non può essere inferiore per più di due livelli rispetto a quello previsto dal contratto nazionale per i lavoratori che svolgono la stessa mansione o funzione.

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4. Somministrazione di lavoro

La somministrazione di manodopera permette ad un soggetto (utilizzatore) di rivolgersi ad un altro soggetto appositamente autorizzato (somministratore), per utilizzare il lavoro di personale non assunto direttamente, ma dipendente del somministratore. Nella somministrazione occorre distinguere due contratti diversi:

  • un contratto di somministrazione, stipulato tra l’utilizzatore e il somministratore, di natura commerciale;
  • un contratto di lavoro subordinato stipulato tra il somministratore e il lavoratore.

Entrambi i contratti possono essere stipulati:

  • a tempo determinato
  • a tempo indeterminato.

Contratto tra somministratore e utilizzatore: la legge non pone limiti per la stipulazione del contratto da parte dell’utilizzatore. La pubblica amministrazione può stipulare soltanto contratti di somministrazione a tempo determinato. Il somministratore invece deve essere un’Agenzia per il lavoro debitamente autorizzata allo svolgimento dell’attività di somministrazione e iscritta nell’apposita sezione dell’Albo informatico.

Contratto tra somministratore e lavoratore: il contratto di lavoro può essere stipulato da tutti i lavoratori.

Il contratto di somministrazione a tempo determinato può essere stipulato:

  • per far fronte a esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore;
  • per le “esigenze temporanee” indicate dalle clausole dei contratti collettivi che avranno efficacia fino alla loro naturale scadenza.

Il contratto di lavoro a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore.

Il contratto tra utilizzatore e somministratore deve avere forma scritta e contenere alcune specifiche indicazioni. Non è richiesta invece alcuna forma specifica per il contratto di lavoro che lega il somministratore e il lavoratore.

I lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto alla parità di trattamento economico e normativo rispetto ai dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte.

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5. Apprendistato

L’apprendistato è un contratto di lavoro a causa mista ovvero prevede che, in aggiunta al rapporto di lavoro vero e proprio, l’azienda si impegni a fornire al giovane apprendista la formazione necessaria per diventare un lavoratore qualificato. Con l’innalzamento a 18 anni dell’obbligo formativo i minorenni possono scegliere di adempiere a questo obbligo facendosi assumere come apprendisti. Possono utilizzare lo strumento dell’apprendistato le aziende di tutti i settori, compresa l’agricoltura.

Beneficiari:

  • Giovani, tra i 15 ed i 24 anni, che abbiano assolto l’obbligo scolastico, anche con qualifica o diploma post-obbligo idonei rispetto all’attività da svolgere.
  • Il limite massimo di età è elevabile a 26 anni nelle aree degli Obiettivi 1 e 2 FSE (Mezzogiorno e aree con difficoltà strutturali) e fino a 29 anni per apprendisti artigiani addetti a mansioni di alto contenuto professionale. Questi limiti di età sono innalzabili di due anni per i portatori di handicap su tutto il territorio nazionale.

Durata

  • Durata minima di 18 mesi e massima di 5 anni nel settore artigiano e di 4 anni in tutti gli altri settori produttivi.

Salario

  • Il salario dell’apprendista è pari a una percentuale, crescente ogni semestre, del salario di un lavoratore qualificato di eguale livello.

I vantaggi per le aziende

  • L’articolo 16 della legge 196/97 stabilisce, a favore delle aziende, il riconoscimento di agevolazioni contributive che coprono quasi il 100% degli oneri assicurativi e previdenziali (i contributi settimanali che un’azienda deve versare sono inferiori ai 3 €). Tali agevolazioni sono subordinate all’effettiva partecipazione dell’apprendista ai corsi di formazione esterna e possono essere estesi per un altro anno nei casi di trasformazione dell’apprendista con contratto a tempo indeterminato.

I vantaggi per gli apprendisti

  • L’apprendista viene regolarmente assunto dopo un periodo di prova (al massimo di 2 mesi). Ha quindi diritto alle ferie (di regola 30 giorni se si hanno meno di 16 anni e 20 se di età superiore) e, come apprendista, non può svolgere né lavoro straordinario né lavoro notturno. Al termine del rapporto il datore di lavoro attesta il conseguimento della qualifica per cui l’apprendista è stato assunto. Accanto alla formazione impartita sul luogo di lavoro, l’apprendista deve frequentare corsi di formazione esterni all’azienda. L’azienda ha l’obbligo di nominare un tutor che coordini la formazione esterna con quella interna all’azienda.

Formazione sul luogo di lavoro

  • Viene svolta dall’imprenditore o da un tutor designato dall’imprenditore.

Formazione esterna

  • Va svolta durante l’orario di lavoro in strutture esterne all’azienda individuate dalle Regioni/Province competenti, deve essere certificata e non può essere inferiore a 120 ore medie annue; nel caso di giovani in obbligo formativo tale limite si raddoppia (240 ore). Il giovane in obbligo guadagna un credito formativo, utile qualora dovesse scegliere di continuare gli studi. Nelle 120 ore previste in più, almeno 8 ore devono essere dedicate all’orientamento professionale ed alla conoscenza dei diritti di cittadinanza

L’Apprendistato è uno speciale rapporto di lavoro nel quale il datore di lavoro si impegna a trasferire all’apprendista assunto le competenze tecniche per diventare un lavoratore qualificato.

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6. Part-time

Il contratto di lavoro a tempo parziale si differenzia da quello a tempo pieno solo per il minor numero di ore di lavoro: diritti e doveri del lavoratore sono perciò gli stessi dei colleghi che lavorano full time.

Il contratto può essere sia a tempo determinato che indeterminato e deve indicare per iscritto il numero e la distribuzione delle ore di lavoro: ogni modifica in tal senso potrà essere effettuata dall’azienda solo con il consenso del lavoratore.

A chi viene assunto con questa modalità viene applicato il contratto collettivo di lavoro che disciplina il corrispondente rapporto di lavoro a tempo pieno: contributi pensionistici, tfr, malattia, maternità ecc. vengono riconosciuti come nel caso dei contratti full-time, con l’unica differenza che calcolati in base alle ore lavorative. E’ in ogni caso previsto che se il datore di lavoro procede a nuove assunzioni a tempo pieno i lavoratori part-time già presenti in azienda hanno diritto di precedenza.

L’orario di lavoro si può strutturare con diverse modalità:

  • part-time orizzontale, quello in cui si lavora per tutti i giorni della settimana, ma per un minor numero di ore rispetto ai lavoratori a tempo pieno (ad esempio 4 ore di lavoro per 5 giorni).
  • part-time verticale, quello in cui si presta la propria attività a orario intero solo per alcuni giorni della settimana o del mese, mentre in altri giorni non si lavora (ad esempio 8 ore al giorno per tre giorni alla settimana).
  • part-time ciclico, quello in cui si il lavoro viene svolto solo in determinati periodi prestabiliti dell’anno (ad esempio solo nei mesi di giugno, luglio e agosto) a tempo pieno o parziale. Questa forma di part-time permette all’azienda che abbia necessità di lavoro solo stagionale di assumere comunque a tempo indeterminato.

Questa modalità di lavoro si sta sviluppando a ritmi notevoli nel resto d’Europa e in questi ultimi anni sta finalmente iniziando a ricevere incentivi seri anche da parte del nostra paese.

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7. Lavoro ripartito (job-sharing)

Il lavoro ripartito (anche chiamato job sharing) è un rapporto di lavoro speciale, mediante il quale due lavoratori assumono in solido l’adempimento di un’unica e identica obbligazione lavorativa. La solidarietà riguarda le modalità temporali di esecuzione della prestazione nel senso che i lavoratori possono gestire autonomamente e discrezionalmente la ripartizione dell’attività lavorativa ed effettuare sostituzioni fra loro. Entrambi sono direttamente e personalmente responsabili dell’adempimento dell’obbligazione. Questa forma contrattuale ha l’obiettivo di conciliare i tempi di lavoro e di vita, attraverso nuove opportunità di bilanciamento tra le esigenze di flessibilità delle imprese e le esigenze dei lavoratori.

Il contratto di lavoro ripartito può essere stipulato da tutti i lavoratori e da tutti i datori di lavoro, ad eccezione della pubblica amministrazione. Rispetto a quanto previsto dalla precedente normativa, la vera novità del contratto di lavoro ripartito previsto dalla legge Biagi sta nell’aver limitato la possibilità di gestire il lavoro in solido a due lavoratori.

Il contratto di lavoro ripartito, a fini probatori, deve avere forma scritta e contenere le seguenti indicazioni:

  • la misura percentuale e la collocazione temporale del lavoro giornaliero, settimanale, mensile o annuale che si prevede venga svolto da ciascuno dei due lavoratori, secondo gli accordi intercorsi e ferma restando la possibilità per gli stessi lavoratori di determinare, in qualsiasi momento, la sostituzione tra di loro o la modifica consensuale della distribuzione dell’orario di lavoro (che deve essere comunicato al datore con cadenza almeno settimanale, al fine di certificare le assenze);
  • il luogo di lavoro, nonché il trattamento economico e normativo spettante a ciascun lavoratore;
  • le eventuali misure di sicurezza specifiche per l’attività lavorativa svolta

Il rapporto di lavoro può essere stipulato a termine o a tempo determinato. Per quanto riguarda il trattamento economico, vige il principio di parità di trattamento rispetto ai lavoratori di pari livello e mansione. Il trattamento è comunque riproporzionato in base alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita.

Il datore non può opporsi alla ripartizione dell’attività lavorativa stabilita dai due lavoratori. Ai fini previdenziali i lavoratori ripartiti sono assimilati ai lavoratori a tempo parziale, ma il calcolo delle prestazioni e dei contributi dovrà essere effettuato mese per mese, salvo conguaglio in relazione all’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa.

In caso di dimissioni o licenziamento di uno dei due lavoratori, il rapporto si estingue anche nei confronti dell’altra parte, ma il datore di lavoro può chiedere all’altro di trasformare il rapporto in un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno o parziale.

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8. Contratto di lavoro a domicilio

Il lavoro a domicilio, molto ambito da casalinghe, pensionati e giovani perché permette di conciliare la vita in casa con un’attività remunerativa, si presta tuttavia a volte ad irregolarità o a vere e proprie truffe.

Vale la pena allora sapere che il lavoro a domicilio è regolamentato in Italia da un contratto che offre garanzie molto simili a quelle di altre modalità lavorative. E’ lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia disponibilità, anche con l’aiuto di familiari conviventi o a carico, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore.

Non è ammessa l’esecuzione di lavoro a domicilio per attività per le quali vengono utilizzate sostanze tossiche o nocive per la salute e l’incolumità del lavoratore e dei suoi familiari.

I datori di lavoro che intendano commissionare lavoro a domicilio sono tenuti per legge ad iscriversi in un apposito “registro dei committenti” presso l’Ufficio Provinciale del lavoro e a tenere un registro sul quale devono essere trascritti il nominativo ed il relativo domicilio dei lavoratori esterni, nonché l’indicazione del tipo e della quantità del lavoro da eseguire e la misura della retribuzione.

I lavoratori che eseguono lavori a domicilio devono essere retribuiti sulla base di tariffe di cottimo pieno risultanti dai contratti collettivi della categoria o comunque stabiliti da una commissione regionale. Oltre al libretto di lavoro devono essere muniti dall’imprenditore di uno speciale libretto di controllo che contenga:

  • la data e l’ora di consegna del lavoro affidato dal l’imprenditore;
  • la descrizione del lavoro da eseguire;
  • la specificazione della quantità e della qualità dei materiali consegnati;
  • l’indicazione della misura della retribuzione corrisposta e dei singoli elementi di cui questa si compone e delle singole trattenute.

Il libretto di controllo deve essere firmato dal datore di lavoro e dal lavoratore, sia all’atto della consegna del lavoro affidato, sia al momento della riconsegna del lavoro eseguito, e può sostituire a tutti gli effetti il prospetto paga.

Per quanto riguarda i doveri, il lavoratore deve prestare la sua attività con diligenza, custodire il segreto sui modelli del lavoro affidatogli, attenersi alle istruzioni ricevute dall’imprenditore nell’esecuzione del lavoro.

Per il resto malattia, maternità, assicurazione e contribuzioni ai fini pensionistici seguono le stesse modalità degli altri contratti collettivi di categoria.

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9. Distacco o comando

Il distacco o comando si ha quando un datore di lavoro (distaccante), per proprie esigenze produttive, pone temporaneamente uno o più lavoratori (distaccati) a disposizione di un altro soggetto (distaccatario) per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

Il distacco è caratterizzato dalla presenza di un interesse produttivo temporaneo del datore di lavoro distaccante, che deve permanere per tutto il periodo di durata del distacco. È necessario il consenso del lavoratore nel caso in cui, durante il periodo del distacco, debba svolgere mansioni diverse, sebbene equivalenti, rispetto a quelle per cui è stato assunto.

Se il distacco comporta un trasferimento presso una sede di lavoro che dista 50 km da quella originaria, deve essere giustificato da comprovate ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive.

Il datore di lavoro può:

  • sostituire il lavoratore distaccato con un altro lavoratore assunto a tempo determinato;
  • richiedere al soggetto presso cui il lavoratore è distaccato un rimborso delle spese sostenute a seguito del distacco (rimborso che non può superare il costo effettivamente sostenuto).

Trattamento economico e normativo

  • Il trattamento economico e normativo rimane a carico del datore di lavoro distaccante. La contribuzione INAIL è calcolata con riferimento alla tariffa e ai premi del soggetto presso cui il lavoratore è distaccato.

 

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10. Contratto di lavoro intermittente

Il contratto di lavoro intermittente (o a chiamata) è un contratto di lavoro mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro per svolgere prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, individuate dalla contrattazione collettiva nazionale o territoriale. Questo contratto costituisce una novità per l’ordinamento italiano ed è previsto in due forme: con o senza obbligo di corrispondere una indennità di disponibilità, a seconda che il lavoratore scelga di essere o meno vincolato alla chiamata.

L’obiettivo del contratto intermittente è la regolarizzazione della prassi del cosiddetto lavoro a fattura, usato finora per le richieste di attività lavorativa non occasionale ma con carattere intermittente. Rappresenta anche un’ulteriore possibilità di inserimento o reinserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro.

Può essere stipulato da qualunque lavoratore:

  • non appena saranno individuate le esigenze che consentono il ricorso a tale contratto (attraverso la contrattazione collettiva o, in via provvisoriamente sostitutiva, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali);
  • immediatamente per il lavoro nel week-end o in periodi predeterminati (ferie estive, vacanze pasquali o natalizie).

Può essere stipulato immediatamente, in via sperimentale, da:

  • lavoratori disoccupati con meno di 25 anni;
  • lavoratori con più di 45 anni che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o che siano iscritti nelle liste di mobilità.

Può essere stipulato da qualunque impresa ad eccezione di quelle che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi prevista dalla legge sulla sicurezza nei posti di lavoro. Non può essere stipulato dalla pubblica amministrazione.

Il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato. Deve avere la forma scritta e deve contenere l’indicazione di una serie di elementi (che devono conformarsi a quanto sarà contenuto nei contratti collettivi) quali: durata, ipotesi che ne consentono la stipulazione, luogo, modalità della disponibilità, relativo preavviso, trattamento economico e normativo per la prestazione eseguita, ammontare dell’eventuale indennità di disponibilità, tempi e modalità di pagamento, forma e modalità della richiesta del datore, modalità di rilevazione della prestazione, eventuali misure di sicurezza specifiche.

Non è possibile ricorrere al lavoro intermittente nei seguenti casi:

  • sostituzione di lavoratori in sciopero;
  • se si è fatto ricorso nei sei mesi precedenti a una procedura di licenziamento collettivo, ovvero se è in corso una sospensione o riduzione d’orario con cassa integrazione (questo divieto è derogabile da un accordo sindacale) per le stesse unità produttive e/o mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente.

Retribuzione e indennità

  • Al lavoratore intermittente deve essere garantito un trattamento economico pari a quello spettante ai lavoratori di pari livello e mansione, seppur riproporzionato in base all’attività realmente svolta. Per i periodi di inattività, e solo nel caso in cui il lavoratore si sia obbligato a rispondere immediatamente alla chiamata, spetta un’indennità mensile, divisibile per quote orarie. È stabilita dai contratti collettivi, nel rispetto dei limiti minimi fissati con decreto ministeriale, e non spetta nel periodo di malattia oppure di altra causa che renda impossibile la risposta alla chiamata.

Il rifiuto di rispondere alla chiamata senza giustificato motivo può comportare la risoluzione del rapporto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto, e il risarcimento del danno la cui misura è predeterminata nei contratti collettivi o, in mancanza, nel contratto di lavoro.

I contributi relativi all’indennità di disponibilità devono essere versati per il loro effettivo ammontare in deroga alla normativa in materia di minimale contributivo.

Nel caso di lavoro intermittente per predeterminati periodi della settimana, del mese o dell’anno l’indennità è corrisposta solo in caso di effettiva chiamata.

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11. Telelavoro (lavoro a distanza)

È un contratto in cui la prestazione di lavoro svolta in collegamento da casa, da un telecentro o da luoghi diversi attraverso un computer, con l’impresa da cui si dipende o si collabora.

Questa forma flessibile di impiego presenta dei vantaggi:

  • per le organizzazioni, introdurre il telelavoro significa, innanzitutto, ridurre i costi. Inoltre, dando ai propri dipendenti la possibilità di organizzarsi autonomamente il lavoro, si aumenta la loro motivazione, la produttività e la creatività;
  • per i telelavoratori, il primo e intuitivo vantaggio è la maggior libertà nel conciliare esigenze di lavoro ed esigenze personali/familiari. Da non trascurare, inoltre, il minor stress dovuto soprattutto agli spostamenti. Il fatto di poter gestire autonomamente la propria giornata lavorativa comporta anche un aumento della soddisfazione personale;
  • per la società, il primo fatto da considerare è che il telelavoro è in grado di creare nuove opportunità di lavoro, anche e soprattutto per i disabili, diminuendo al tempo stesso il traffico, l’inquinamento e i consumi energetici.

Ecco le principali regole stabilite dall’accordo-quadro europeo sul telelavoro del 16 luglio 2002.

  • Il telelavoro viene definito come una forma di organizzazione e/o di svolgimento della prestazione lavorativa che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o rapporto di lavoro in cui l’attività lavorativa viene svolta al di fuori dei locali dell’impresa.
  • Gli strumenti per lo svolgimento del telelavoro sono messi a disposizione del datore di lavoro che ne cura anche l’installazione e la manutenzione.
  • Il datore di lavoro deve adottare gli strumenti necessari per garantire la sicurezza dei dati trattati ed elaborati nonché della salute del lavoratore.
  • Il ricorso al telelavoro è rimesso alla volontà del lavoratore e del datore di lavoro. Entrambi possono richiederlo e possono accettare o rifiutare. Il rifiuto del lavoratore non costituisce motivo di risoluzione del rapporto.
  • Nell’ambito della legislazione dei contratti collettivi e delle direttive aziendali applicabili, il telelavoratore gestisce l’organizzazione del proprio tempo di lavoro.
  • Le disposizioni previste nel suddetto accordo-quadro costituiscono, in ogni caso, una cornice generale all’interno della quale trovano ampio spazio la contrattazione individuale e collettiva.

 

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12. Lavoro occasionale ordinario

Il lavoro occasionale è un rapporto di lavoro che si caratterizza per il fatto che non può avere una durata complessiva superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente e non deve comportare un compenso superiore a cinquemila euro nello stesso anno solare.

Il lavoro occasionale ha, dunque, due vincoli, uno di natura temporale (30 giorni), l’altro di natura economica (5.000 euro). Tali requisiti sono stati introdotti al fine di limitare l’utilizzo abnorme delle prestazioni occasionali da parte dei singoli committenti, in modo da ricondurre le prestazioni stesse, qualora anche uno solo dei precedenti parametri risulti superiore, alle disposizioni riguardanti le collaborazioni coordinate e continuative, con tutti gli obblighi (fiscali, previdenziali, assicurativi e informativi) che ne derivano.

Il lavoratore può essere adibito a qualsiasi mansione.

Il lavoro occasionale individua un’ipotesi profondamente diversa dal lavoro occasionale di tipo accessorio.

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13. Contratto di appalto

Il legittimo contratto di appalto di opere e servizi è il contratto con il quale un soggetto (appaltatore) si impegna in cambio di un corrispettivo a realizzare a proprio rischio un determinato risultato (opera o servizio), avvalendosi in piena autonomia di una propria organizzazione imprenditoriale e di propri dipendenti nell’interesse di un altro soggetto (committente, appaltante).

Quindi il requisito fondamentale perché il contratto di appalto sia legittimo è che l’appaltatore sia, a tutti gli effetti, un imprenditore e non un intermediario. L’appaltatore deve avere una propria autonomia e un’organizzazione, anche strumentale, nella direzione e conduzione dei lavori.

I Contratti Nazionali di Lavoro escludono dagli appalti i lavori, svolti in azienda, direttamente pertinenti le attività di trasformazione proprie dell’azienda stessa, nonché quelle di manutenzione ordinaria continuativa a eccezione di quelle che necessariamente debbono essere svolte al di fuori dei normali turni di lavoro.

I contratti di appalto continuativi svolti in azienda sono limitati ai soli casi imposti da esigenze tecniche, organizzative, gestionali ed economiche.

Va sottolineato che al fine di valutare la legittimità o meno dell’appalto, il conferimento eventuale di capitali, macchine e attrezzature fornite dall’appaltatore deve comunque essere di modesta entità quantitativa e qualitativa. Va inoltre valutata la rilevanza dell’apporto dell’appaltatore per esempio nel caso di conferimento di know how, software, beni immateriali o capitali rilevanti.

Sono quindi leciti gli appalti di opere o servizi a condizione che non nascondano appalto di mere prestazioni di lavoro, fatto che si verifica allorché il committente, pur possedendo l’organizzazione aziendale necessaria per svolgere l’opera o il servizio, si rivolga ad altra impresa esclusivamente per avere la mano d’opera.

L’appalto di conseguenza è legittimo:

  • quando l’appaltatore si impegna al raggiungimento di un determinato risultato assumendosi il rischio economico d’impresa e operando con autonomia rispetto al committente. Inoltre l’appaltatore deve disporre di una organizzazione imprenditoriale.

Nel caso di appalto legittimo di opere e servizi vige il vincolo solidale tra committente e appaltatore, sia riguardo la corresponsione di un trattamento retributivo minimo inderogabile che di un trattamento normativo, non inferiori a quelli previsti per i lavoratori direttamente dipendenti dall’appaltatore, sia riguardo gli obblighi di natura previdenziale e assistenziale.

L’appalto e’ invece illegittimo:

  • quando un terzo, al fine di sollevare dagli obblighi di legge il vero imprenditore, s’inserisce nel rapporto di lavoro figurando come datore di lavoro.

L’interposizione fittizia di manodopera ricorre pertanto nei casi in cui l’appaltatore non disponga di una effettiva organizzazione di impresa. Quando cioè in capo all’appaltatore non sia rilevabile il rischio di impresa.

Nei casi in cui l’appaltatore impieghi capitali, macchinari, e attrezzature dell’appaltante si presume l’assenza di autonomia organizzativa di impresa e non occorrono quindi altre verifiche per stabilire l’esistenza della violazione del divieto di interposizione.

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14. Libera professione con partita IVA

In Italia la figura del professionista è una figura diversa sia da quella di un’azienda sia da quella di un dipendente. Un artigiano, un avvocato o un commercialista (ma lo stesso discorso vale per numerose altre professioni, quali grafici, informatici, geometri, ecc.) sono accomunati dal fatto che “vendono” il loro sapere o la loro tecnica a più aziende o persone, lavorando in assoluta indipendenza dal proprio cliente/committente.

Il professionista o l’artigiano non dovrà rendere conto al proprio cliente né sul quando ha svolto la sua attività, né su come o con l’aiuto di chi: risponderà solamente della qualità del prodotto o servizio una volta finito e della sua corrispondenza a quanto richiesto dal cliente attraverso il contratto stipulato.

Lo Stato Italiano prevede che solo i professionisti iscritti agli albi (commercialisti, avvocati, notai, ecc.) siano obbligati ad aprire una partita IVA: per tutti gli altri si tratterà di una scelta legata alla convenienza o alla volontà di presentarsi al cliente nella figura del “professionista”.

Chi vuole esercitare le proprie prestazioni in partita IVA deve segnalarlo all’Amministrazione finanziaria presentando un’apposita dichiarazione entro 30 giorni dall’inizio dell’attività. All’atto della dichiarazione l’Ufficio IVA attribuisce al lavoratore un numero di partita IVA che lo fa passare ad un regime fiscale simile a quello delle aziende.

A fronte delle proprie prestazioni il professionista o l’artigiano dovrà emettere una parcella (l’equivalente della fattura per le aziende): ogni mese o trimestre sarà tenuto a pagare l’Iva (Imposta sul valore aggiunto) calcolata in base al valore del fatturato prodotto nel periodo.

Come tutti gli altri lavoratori, il professionista presenterà poi a fine anno fiscale la propria dichiarazione dei redditi sul modello Unico.

Stando alle statistiche, tranne nei casi dei professionisti inquadrati negli ordini (medici, notai, avvocati, ecc.), molte partite Iva di consulenti si trasformano poi in aziende (Snc, Sas, Srl, ecc.): a dimostrazione del fatto che l’apertura di una partita Iva era quindi il “segnale” del desiderio di intraprendere.

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15. Contratto di associazione in partecipazione

Con questa forma di contratto, il lavoratore offre la propria manodopera al datore di lavoro e viene retribuito non con uno stipendio predeterminato, bensì con la partecipazione agli utili dell’impresa.

Negli ultimi anni questa forma contrattuale ha preso piede in molti settori: i datori di lavoro, infatti, considerano questa tipologia di contratto un sistema di incentivazione del personale. Mediante questo tipo di contratto, infatti, i collaboratori dovrebbero essere maggiormente motivati a identificare la sorte dell’azienda con la propria, visto infatti che il loro guadagno dipende dall’andamento economico dell’impresa stessa. Inoltre, il personale sarebbe spinto a svolgere il proprio lavoro con maggiore senso di responsabilità.

Per questi motivi, il contratto di associazione in partecipazione si è diffuso soprattutto nel settore del commercio al dettaglio: alcuni titolari di negozi trovano infatti questa formula molto più incentivante per il personale di vendita (commesse, procacciatori) rispetto a uno stipendio fisso.

In questi rapporti di lavoro bisogna comunque prestare molta attenzione ai termini ed alle clausole presenti nel contratto che viene presentato, in modo da evitare di dovere partecipare, oltre che agli utili, anche alla eventuale copertura delle perdite finanziarie dell’impresa.

I lavoratori ed i redditi derivanti da partecipazione agli utili non sono tenuti al versamento di contribuzione previdenziale, ovvero a pagare – come nel caso dei lavoratori dipendenti o delle collaborazioni coordinate e continuative – alcun contributo all’INPS.

A tale proposito la legge Biagi ha previsto alcune disposizioni finalizzate ad evitare fenomeni elusivi o di utilizzo distorto dell’associazione in partecipazione.

In sintesi, con la nuova normativa la prestazione di associazione in partecipazione è considerata soggetta ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato, salvo dimostrare con idonee attestazioni o documentazioni che rientra in un contratto di lavoro autonomo o altro contratto espressamente previsto nell’ordinamento.

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16. Lavoro occasionale accessorio

Il lavoro occasionale di carattere accessorio ha lo scopo di favorire l’inserimento lavorativo di fasce deboli del mercato aumentando le opportunità di lavoro presso le famiglie o enti senza scopo di lucro.

Il legislatore individua esattamente le mansioni a cui il lavoratore potrà essere adibito:

  • piccoli lavori domestici, compresa l’assistenza domiciliare a bambini e alle persone anziane, ammalate o con handicap;
  • insegnamento privato supplementare;
  • piccoli lavori di giardinaggio, pulizia;
  • realizzazione di manifestazioni sociali, sportive culturali;
  • collaborazioni con enti pubblici e associazioni di volontariato per lavori di emergenza o di solidarietà.

L’attività di lavoro occasionale accessorio:

  • non può essere svolta per più di trenta giorni nell’arco dell’anno solare (anche se in favore di committenti diversi);
  • i compensi non possono essere superiori a tremila euro nel corso dell’anno solare.

Coloro che sono interessati a svolgere attività di lavoro occasionale accessorio devono fare comunicazione della loro disponibilità ai servizi provinciali per l’impiego o ai soggetti pubblici e privati accreditati presso le Regioni che cederanno loro, dietro corrispettivo in danaro, una tessera magnetica di riconoscimento.

È prevista una particolare procedura per il pagamento del corrispettivo: i lavoratori sono retribuiti attraverso la consegna di buoni lavoro del valore di 7,5 euro ciascuno, acquistati in precedenza dai datori di lavoro presso le rivendite autorizzate.

Una volta effettuata l’attività e ricevuti i buoni, il lavoratore dovrà presentarli ai centri autorizzati: riceverà quindi a titolo di corrispettivo 5,8 euro. Il restante valore, pari a 1,7 euro, è così ripartito: 1 euro è destinato alla contribuzione INPS, 0,5 euro sono versati come premio assicurazione INAIL e 0,2 euro sono trattenuti dall’ente autorizzato a titolo di rimborso spese.

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17. Contratto di agenzia (agenti e rappresentanti)

Il contratto di agenzia implica l’assunzione, da parte di un agente, dell’incarico di promuovere la conclusione di contratti di vendita di determinati beni o servizi per conto di un terzo (l’impresa o preponente). Ciò si verifica in cambio di una retribuzione, in una zona e in un territorio o, ancora, in un dato settore di mercato preliminarmente stabiliti dal preponente. Nella lettera d’incarico, l’impresa deve specificare i punti fermi che regolano l’attività dell’agente.

Il rapporto di collaborazione dell’agente incaricato con l’impresa inizia formalmente al momento della stipulazione di un’apposita lettera d’incarico. In essa devono essere affrontati alcuni punti cruciali riguardanti l’attività dell’agente e, in particolare, il nome delle parti, la zona assegnata, i prodotti da vendere, l’entità delle provvigioni e dei compensi, nonché la durata del contratto, ossia se si tratti di un vincolo a tempo determinato o indeterminato.

L’agente è sempre più una figura imprenditoriale, dotata di autonomia di movimento, nel rispetto delle regole fissate dal preponente. Fra le principali caratteristiche del rapporto di agenzia vi è il suo carattere imprenditoriale, l’autonomia nell’organizzazione (pur nel rispetto delle direttive del preponente), la stabilità dell’incarico (il contratto vincola l’agente a un rapporto di collaborazione costante), l’assegnazione di una zona definita, il diritto di esclusiva (il preponente, con l’esclusione di differenti accordi, non può destinare più agenti in una stessa zona e per lo stesso settore d’attività); la partecipazione al rischio da parte del preponente.

Qualora già non lo fossero, l’azienda è inoltre tenuta a iscrivere i componenti della propria forza vendita all’Enasarco (Ente nazionale assistenza agenti e rappresentanti). Nel caso in cui l’agente sia di tipo monomandatario, ha con ciò il diritto di lavorare in esclusiva nella zona a lui assegnata per contratto e non può assumere incarichi da altri proponenti.

Per contratto, all’agente non sono imposti particolari obblighi di orario lavorativo, né rispetto agli itinerari e neppure per quanto concerne il suo periodico invio, all’impresa da cui dipende, di relazioni sull’andamento delle vendite concluse nel territorio a lui assegnato. Inoltre, l’agente non ha diritto a forme di rimborso o risarcimento delle spese affrontate nello svolgimento della propria attività.

La normativa prevede che la prestazione d’opera degli agenti di commercio riceva compensi la cui entità dipende dagli accordi inizialmente pattuiti fra le parti. Fra i tipi possibili di provvigioni abbiamo la percentuale costante, quando il compenso è direttamente proporzionale al giro di affari procurato; il premio, che può aggiungersi alla percentuale costante come riconoscimento economico di determinati obiettivi di vendita; la percentuale crescente, in cui la provvigione aumenta con il conseguimento di un dato livello di affari; il cosiddetto sovrapprezzo, quando la provvigione corrisponde alla differenza fra il prezzo di listino e il prezzo (maggiorato) alla vendita del bene o servizio; minimo garantito, ossia un risarcimento mensile che l’azienda riconosce all’agente, tenendo conto per esempio della vastità della zona ricoperta dalla sua attività.

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18. Contratto a progetto

Le collaborazioni coordinate e continuative sono diventate con la riforma Biagi lavoro a progetto. Il lavoro a progetto è quello riconducibile a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso.

Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente, che non possono essere ricondotte ad un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del decreto di attuazione della legge Biagi. Termini diversi, anche superiori all’anno, potranno essere stabiliti nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime.

Le caratteristiche di questo tipo di contratto sono l’autonomia del collaboratore, la coordinazione con il committente e l’irrilevanza del tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione.

Per progetto s’intende un’attività collegata ad un risultato a cui il collaboratore partecipa direttamente con la sua prestazione. Il progetto deve contenere l’indicazione del risultato che si prefigge il committente ed il termine entro cui deve essere raggiunto.

Per programma s’intende un tipo di attività che non deve necessariamente giungere ad un risultato finale.

Non è necessaria la forma scritta per rendere valido il contratto ma solo per provare alcuni elementi richiesti dalla legge.

In caso di malattia ed infortunio il contratto prevede un periodo massimo di assenza non retribuita di 30 giorni per contratti con scadenza determinabile o di un sesto della durata prevista per i contratti con termine prestabilito.

In caso di gravidanza la durata del rapporto di lavoro è prorogata per un periodo di 180 giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale.

Il compenso deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del contratto.

Sono stati inoltre previsti a favore del lavoratore:

  • facoltà di svolgere la propria attività per più committenti (salvo diversa previsione del contratto individuale);
  • diritto a essere riconosciuto autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del lavoro a progetto.

La norma non affronta l’aspetto relativo al trattamento fiscale e previdenziale. Si ritiene comunque che rimanga invariata sia la qualificazione fiscale dei redditi prodotti (che vengono assimilati a quelli di lavoro dipendente) sia l’obbligo di iscrizione alla Gestione Separata del lavoro autonomo con le attuali modalità.

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19. Tirocinio formativo e di orientamento

I tirocini sono una interessante opportunità per agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro e per realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro. Il tirocinio non si configura come un rapporto di lavoro: l’azienda non deve corrispondere una retribuzione ed il tirocinante non deve pagare per essere inserito nell’impresa.

Beneficiari

  • Persone che abbiano già assolto l’obbligo scolastico, senza limiti di età. Il tirocinio, come già detto, non si configura come rapporto di lavoro e quindi non comporta la cancellazione dalle liste di disoccupazione.

Durata

  • 4 mesi per studenti che frequentano la scuola secondari;
  • 6 mesi per inoccupati o disoccupati, inclusi lavoratori in mobilità; per allievi di istituti professionali di Stato, di corsi di formazione professionale, di attività formative post-diploma o post-laurea, anche nei 18 mesi successivi al termine degli studi;
  • 12 mesi per studenti universitari, studenti che frequentano corsi di diploma universitario, dottorati di ricerca o corsi di perfezionamento e specializzazione post-secondari anche non universitari, anche nei 18 mesi successivi al termine degli studi; per persone svantaggiate; per laureati da non più di 18 mesi;
  • 24 mesi per soggetti portatori di handicap.

Costi

  • La copertura INAIL e per la responsabilità civile presso terzi è a carico dell’Ente Promotore. Qualora l’Ente Promotore sia una struttura pubblica competente in materia di collocamento, il datore di lavoro può assumersi l’onere dell’assicurazione INAIL. E’ consentito il rimborso al tirocinante di spese documentate (buoni pasto, trasporti, etc.).

Soggetti promotori

  • Gli enti che possono promuovere i tirocini sono: i Centri per l’impiego, le Università, gli Istituti d’istruzione universitaria, le istituzioni scolastiche, le comunità terapeutiche, le cooperative sociali, gli enti di formazione accreditati.

I vantaggi per le aziende

  • Per le aziende i tirocini rappresentano uno strumento che facilita la preselezione del personale, senza comportare obblighi di assunzione. Inoltre il tirocinio non costituisce rapporto di lavoro e come tale non è in alcun modo retribuito.

I vantaggi per i tirocinanti

  • Il tirocinante ha l’opportunità di mettere in evidenza le proprie capacità ed abilità lavorando nell’impresa.
  • Le attività svolte nel corso di un tirocinio possono anche avere valore di credito formativo e possono essere riportate nel curriculum ai fini dell’erogazione da parte delle strutture pubbliche dei servizi per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Al termine del tirocinio, l’Azienda è tenuta a certificare l’esperienza svolta.

 

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20. Tirocini estivi

Il tirocinio estivo di orientamento è il tirocinio che gli adolescenti o i giovani, regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l’università e gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, possono svolgere durante le vacanze estive.

Il tirocinio estivo mira ad agevolare gli studenti nella scelta professionale e a permettere loro di orientarsi meglio nel mondo del lavoro. Consente inoltre di acquisire competenze spendibili nel mercato del lavoro.

Durata

  • Il tirocinio estivo ha una durata non superiore a tre mesi e si svolge nel periodo compreso tra la fine dell’anno accademico e/o scolastico e l’inizio di quello successivo. In caso di pluralità di tirocini, la durata massima complessiva non può superare i tre mesi. L’azienda interessata a ospitare tirocinanti non incontra limiti numerici per legge, salvo diversa previsione dei contratti collettivi.

Sussidio economico

  • L’azienda che ospita il tirocinante, pur non essendo obbligata, può erogare al tirocinante un sussidio economico non superiore a 600 euro.

Per tutti gli aspetti non esplicitamente disciplinati dal Dlgs 276/2003 valgono le disposizioni in materia di tirocini formativi.

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21. Piani per l’Inserimento professionale (PIP)

Il PIP non si configura come un rapporto di lavoro subordinato. Si tratta di uno strumento per agevolare l’ingresso nel mercato del lavoro, attraverso la possibilità di svolgere un’esperienza di lavoro e formazione in azienda, con caratteristiche simili ai tirocini.

Beneficiari

  • Giovani in cerca di prima occupazione con età compresa tra i 19 ed i 32 anni, elevabili a 35 anni per i disoccupati di lunga durata.

Imprese interessate

  • Imprese con almeno un dipendente e studi professionali.

Durata

  • La durata massima non può essere superiore a 12 mesi con un impegno di 960 ore annuali, mentre l’orario lavorativo deve essere mantenuto nei limiti previsti dal contratto collettivo nazionale. Le 960 ore che al massimo possono essere richieste in un anno possono essere suddivise: 80 ore al mese per 12 mesi o 160 ore al mese per 6 mesi.

Costi

  • E’ prevista un’indennità economica di solito non superiore a € 309,87 al mese, che viene erogata dall’impresa utilizzatrice (il 50% viene poi rimborsato dall’INPS). I soggetti titolari dei PIP sono assicurati con polizza INAIL e per la responsabilità civile, a carico del soggetto utilizzatore.

PIP interregionali

  • Possono essere avviati PIP “interregionali”, presso imprese esclusivamente produttive, di tutto il territorio nazionale, relativi a giovani residenti nei territori di cui agli Ob. 1 e 2 UE. In questo caso l’approvazione del progetto esecutivo è subordinato alla presenza di un patto di gemellaggio tra organismi con sede nei territori di provenienza dei giovani e organismi con sede nei territori delle imprese ospitanti. Nel patto deve essere contenuto l’impegno relativo all’inserimento dei giovani in imprese del territorio di provenienza. In questo caso, oltre alla indennità oraria di € 3,87 , ai giovani verrà corrisposto un rimborso spese di € 413,17, a carico del Fondo per l’Occupazione, e di € 103,29 a carico dell’impresa ospitante.

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