Manifesto per un lavoro normale

Fino a 15 anni fa tutti potevano trovare un lavoro normale. Nella bella Italia di provincia, e l’Italia è e sarà sempre tutta di provincia, non circolavano ilcicloneidee spietate e cattive da coach che ti costringevano a sentirti un fallito se non avevi sviluppato almeno 30 capacità trasversali, una superspecializzazione e soprattutto una motivazione atomica, assertiva e in fondo, disumana, al continuo aggiornamento e alla continua allerta nei confronti della possibilità di essere upgradato, licenziato, esuberato, sostituito. Da chi, poi.
Nell’Italia che ci ha visto crescere c’era posto per l’idiota, lo scemo del villaggio (il più amato dagli dei), il poco intelligente, lo scansafatiche, la donna e l’uomo che voleva occuparsi della famiglia, l’analfabeta e il poveraccio, il rampante e l’ossessionato. Quei lavoretti del cazzo da cui non ti aspettavi che un pò di umanità e di poco denaro per fare altro – ad esempio, vivere – ringraziando Iddio che avessero chiuso le miniere e che la tua dieta comprendesse finalmente tutte le vitamine. E chi non voleva, rientrava nel 10% di disoccupazione, tirando a campare in una Italia in cui ci facevamo bastare quello che c’era e francamente non mancavamo di nulla.
Poi, è finita. Sono incerto sul giorno esatto, ma è partito a metà anni 90 e intorno al 2002 la situazione è precipitata in un successo economico catastrofico. Dal 1990 la spesa delle famiglie è raddoppiata, con conseguenze sul risparmio e sull’affanno alla spesa. Le rendite improduttive hanno preso il sopravvento sul lavoro, e le banche si sono impossessate di un sesto del PIL del paese. La mania di grandezza che una volta era fuga dalla povertà, e la tendenza all’accidia furba italica hanno fatto impennare un mercato immobiliare di case scadenti, brutte, piccole, e il tempo medio per pagarle con mutui offerti ai tassi euro è passato da una media di 11 anni a 20 anni. Ovvero, eravamo tutti ricchi la metà, se per pagare una casa ci dovevi mettere il doppio. Sordo ad ogni evidenza aritmetica da 5° elementare, l’italiano insisteva sull’investimento nel mattone, che tra l’altro lo avrebbe tenuto legato per la vita in qualsiasi angolo in cui avesse edificato le proprie radici. Il nostro Stato ha continuato nella spesa pazza, nella creazione di posti di lavoro (che non è la stessa cosa che creare lavoro), nel foraggiare rendite corporative, di posizione, di pensioni per giovanotti dai diritti acquisiti, di ingegneria sociale per incapaci, e progetti culturali truffa tipo l’università in ogni città, che hanno depresso lo sviluppo e creato una rincorsa ancora di più alla rendita, che fruttava minimo il 7% annuo ad una tassazione irrisoria. Per trovare il denaro per la sua voracità, la rendita ha tassato l’unica cosa che avevano sottomano: il lavoro vero e i suoi derivati. Le tasse comunali quintuplicate, i prelievi pensionistici triplicati, l’irpef aumentata del 30%, fino agli autovelox a 60 all’ora in campagna contro chi viaggia per lavoro: tutto “per difendere lo stato sociale”? no, per saziare il primo dei grandi capitalisti finanziari al mondo: lo Stato, e il suo compare che gli tiene aperto il sacco, un sistema bancario medioevale con la velocità di rapina consentita dal web. Morale: i lavori normali sono spariti. Il costo del lavoro alle stelle ha reso il contratto di lavoro un lusso, mentre le rendite crescevano incentivate dalla tassazione inesistente. Nella sua bulimia lo Stato ha aumentato il costo del lavoro e di tutto ciò che al lavoro è correlato, aprendo le porte a contratti deliranti, e allo sfruttamento di lavoratori affamati, provenienti da paesi falliti e disumani, a cui in nome della diversità sono state spalancate le latrine in cui vivevamo noi una volta e che avevamo abbandonato pochi decenni prima. Grazie all’ingresso di personale mal qualificato e impiegato per accrescere la quantità di lavoro con minore costo, la produttività nel nostro paese è crollata, affidata a muratori che non sapevano fare i muratori, pizzaioli senza talento,  badanti senza vocazione e servi della gleba, mentre una intera generazione veniva ammansita in una scuola senza arte nè parte, in università senza senso, e nell’attesa del colpo grosso di rendita – chessò, il posto in banca – distruggendo la tradizione nell’artigianato, nella manifattura, nell’industria chimica, farmaceutica, elettronica, della grande distribuzione, con la promessa di una società di servizi che non servivano a nessuno, o per i più raccomandati, la riserva protetta del posto pubblico, che è una rendita difesa dal sindacato. Le due destre che si alternavano a passo di danza al potere – quella dal volto umano e le mani morbide che spendeva dissennatamente nella creazione di posti di lavoro, che inneggiava alla “Terza Via” e alla società di panda, carini ed educati, in cui nessuno avrebbe più fatto un cazzo, occupandosi solo di relazioni, opportunità, tassi di interesse, capitale sociale, sagre, eventi e diversità, e quella bruta degli irresistibili furfanti de noantri, che inneggiava – in modo più coerente, dico io – al prendersi tutto e fottersene tanto siamo un paese di 12enni, mentre le due destre, dicevo, facevano la finta di litigare, il solo grande padrone di questo paese cresceva: la rendita, creata dallo Stato, dalla finanza, dall’industria culturale e dagli immobili, in unisono. Nutrita del lavoro sottopagato e tassato, accompagnata dallo sdegno ipocrita del sindacato dei pensionati, raschiando il fondo di diritti e retribuzioni e facendo sparire tutte quelle possibilità che facevano l’ecologia del lavoro: la cosetta occasionale pagata brevi manu, la settimana di lavoro veloce per rimediare due soldi, il lavoretto stagionale, l’aiuto in famiglia, il lavoro per sempre, sempre nella stessa grande industria (e che male c’è?), il lavoro dei 15enni che in questa scuola non ci volevano andare, il lavoro autonomo ma non tassato come una maledizione. L’ingegneria sociale ed economica ha applicato le sue miserabili leggi. Produzione meno 30%. Lavoro al nero al 50% (non fate quella faccia, lo sapete tutti). E’ andata cosi’. La ho spiegata come mi è venuta, ma tanto è così, inutile essere eleganti.
Il lavoro si crea affamando la bestia, e ridando una prospettiva di abbondanza solo, solo, e solo al lavoro, non alle rendite. Il resto sono prese per il culo insolenti. Il lavoro si crea affamando la bestia, non correndo più di lei – che poi è quello che vuole – affannandosi in start-up, network, eventi web, sinergie, o accettando irenici sgravi fiscali micragnosi. Il lavoro si crea affamando la bestia, non correndo più di lei. Tanto ci acchiappa sempre.

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