SERGIO ENDRIGO “Mille Lire”, dall’album “…e noi amiamoci” pubblicato nel 1981.
Vi siete mai chiesti se siete nati nell’epoca sbagliata?
O meglio, avete mai avuto nostalgie per epoche mai vissute?
La crisi fa cambiare così tanto gli orizzonti che alcuni diventano addirittura temporalmente insensati.
C’era un’italia di vacanze romane, di provincia gioiosa, del boom econimico, del Concilio Vaticano II, della cucina economica e i foulard in testa.
In cui ci si vestiva eleganti anche per andare dal fornaio e nonostante un’alfabetizzazione inferiore di gran lunga all’attuale, ci si sforzava di essere culturalmente all’altezza della tradizione.
Già, la tradizione.
Tra i cantautori nostrani, ve n’era uno che da solo trasmetteva in un istante l’insieme dell’elenco posticcio appena citato del passato nel bel paese: Sergio Endrigo.
Aveva tutto per essere blasè, natali a Pola (italiana di natura e di regno), viso da uno che non è mai stato giovane, accento veneto-triestino che fa umiltà prima ancora si capisca cosa dici, ottime letture, poesia esistenziale, Ungaretti e Vinicius De Moraes, e una nostalgia atavica, quasi consolatoria.
“Che fatica essere uomini” cantava nel capolavoro futurista “L’arca di Noè”, che a Sanremo pareva un trallallero trallallà, ma questo è un altro discorso.
Qui siamo nel 1981 anche se il pezzo parla di quell’italia là, quella finita nelle soffitte..
Una marcetta allegra giusta appena per una sagra introduce la scena:
“Ragazzina che mi salti addosso in agguato al semaforo rosso, per mille lire mi offri due rose fazzoletti di carta e mille cose e io distratto e stanco di guidare senza volere mi metto a ricordare mille lire del tempo che fu molto prima che nascevi tu”
I soldi diventano madeleine, cordoni ombelicali con i vent’anni in cui il lavoro era sinonimo di libertà, di conquista della storia e del vivere sociale.
“La prima volta che le ho viste tutte intere ho capito che la vita era a una svolta che mi aprivano tutte le frontiere”
E il denaro torna quello contadino, di provincia, sudato e riverito come nelle raccomandazioni dei nonni, frutto magari di un posto di lavoro sicuro, rispettato in paese, da spendere sempre poco e sempre dopo averci pensato molto.
Mentre il mondo proseguiva e le necessità mutavano e probabilmente sminuivano la loro stessa natura, cosicché anche l’uso dei denari diventa antropologicamente moderno: si sciala suvvia.
“mille lire almeno mille lire al mese era un sogno, il sogno piccolo borghese ma per chi ha sempre avuto il culo sul velluto era uno scherzo bruciarle in minuto mille lire mille lire e ti saluto”
Ora la ragazza al semaforo sta lavorando o quelle mille lire son la richiesta di un lavoro che non ha?
Nessuno lavava vetri ai tempi delle mille lire, quelle vere, quelle “grandi come una tovaglia un lenzuolo da piegare in otto una coperta per stare caldi sopra e sotto”
Il semaforo poi viene sempre verde ad un certo punto.
La ragazza rimane nello specchietto retrovisore.
Il presente è là, dopo la curva.
Il futuro è una macchina che non vediamo arrivare.