BELLE AND SEBASTIAN “Step Into My Office, Baby”, dall’album “Dear Catastrophe Waitress”, pubblicato il 6 Ottobre del 2003.
Belle & Sébastien, era il nome di un libro per ragazzi di una scrittrice francese, la storiella tutta piccolo mondo moderno della vita di un ragazzino di 6 anni e il suo cane, tra i monti franco/italiani, famiglie adottive, rom e tutto quanto porti voti a Le Pen.
Ovvio che un gruppo che prenda il suo marchio da cose del genere, difficilmente può essere un gruppo “normale”, se in più viene da Glasgow l’affare si complica ulteriormente.
E così, tra copertine di dischi a metà tra cover di fotoromanzi e memorie smithsiane, tra chitarre acustiche e voci da segreti al telefono, tra citazioni nei salotti buoni e nei film giusti (“alta fedeltà” su tutti) i Belle And Sebastian (senza accento francese, please) fanno quasi successo.
Alla base del tutto c’è un umorismo agrodolce (più dolce alla fine), un approccio blasè e una posa melodica neanche tanto lontana dall’essere snob.
Nel 2003 però arriva Sir Trevor Horn (che non è davvero Sir solo perché il mondo è ingiusto) e gli produce l’album della famosa maturità.
A parlar di lavoro, gli scozzesi timidini son bravi.
In fondo le loro canzoni son piene di omuncoli del quotidiano in bianco e nero, di alici che guardano i gatti e berte che filano.
E quindi l’ufficio.
Che a forza di parlar di lavoro ci si dimentica che il lavoro ha un qui ed ora, un luogo ben preciso, un teatro senza quinte in cui va in scena ogni giorno.
Da buoni elegantoni, i nostri rosci d’albione, si immaginano il tran tran lavorativo di una coppia che non divide solo il talamo nuziale ma anche i corridoi dell’azienda.
Il succo è il rapporto di forze tra uomo e donna nel lavoro e nel mènage di coppia, ma la donna stavolta è al vertice del comando.
“Lei mi chiama e mi dice di incontrarci al caffè…Abbiam bisogno di parlare, vieni nel mio ufficio, ti devo dare del lavoro, un opportunità per fare dello straordinario, segnati: da me alle nove!”
I rimandi erotici si sprecano e i sottintesi neanche tanto nascosti tradiscono un ispirazione più da Renzo Montagnani che da bon couture française.
Mentre l’omino subisce contento:
“Sono uno schiavo del lavoro, sto bene solo quando cammino tra gli uffici e poi a casa vado a letto presto, persiane abbassate, pensieri composti, e sarò di nuovo al lavoro puntuale”
Dal masochismo in tinta stakanof al sadomasochismo in tinta de sade il passo è breve:
“Lei mi ordina un dettato, sebbene la mia forza sia nell’amministrazione, ma butto giù ogni cosa mi dice, fosse anche buttar via il suo vestito rosso”
E così, le riunioni, i faldoni e le pause caffè, diventano l’afrodisiaco più potente.
“Ti sei rasato prima di arrivare a lavoro? Non preoccuparti di dove sia il boss ora, dobbiamo parlare, vieni nel mio ufficio!”
Per me che faccio fatica a concepire di lavorare anche solo con un amico, è davvero troppo.
a cura di Marco Ghiotto, autore di PopLife