Come c’è il fast-food, così c’è il suo corrispondente in psicologia. Tra i luoghi comuni pre-masticati dei “fast-coach” e dei “fast-psicologi” c’è il mantra del “sii positivo”. Se devi fare una cosa, visualizzati nel farla perfettamente… immaginati l’ottimo risultato… senti che bene che ti senti, e così via, alè. Sembra bello, sembra facile, ormai una specie di convenzione generale ci vuole convincere che è la cosa giusta da fare (a proposito: con quanti pazienti vi è riuscito veramente?) Ma altri studi, e l’esperienza personale di molti colleghi in terapia mostrano che non è esattamente così. Per due motivi: il primo è che non abbiamo tutti una struttura di personalità uguale, in grado di giustificare per tutti il pensiero positivo. Ma ammettiamo come dicono alcuni guru che non esistano strutture di personalità e che esiste solo apprendimento: il secondo motivo è che molte persone ottengono concretamente più risultati focalizzandosi sui motivi per cui possono fallire, e su come può andare male ciò che vogliono fare, e non il contrario: diversi studi sui programmi di decisione lo dimostrano. Mentre invece i luoghi comuni di molta psicologia oggi assumono che gli ottimisti hanno migliori risultati rispetto ai pessimisti, in teoria perchè beneficiano di aspettative più alte e più fiducia etc etc. E invece non è proprio così: ci sono diversi studi interessanti sui “pessimisti difensivi” (a cominciare da Norem e Cantor) che mostrano come i pessimisti sono più ansiosi, hanno attese minori su loro stessi… ma non ottengono affatto risultati inferiori!
Condannare la gente a “pensare positivo” e magari a immedesimarsi a delle caricature del “vincente positivo” da baraccone significa andare contro la loro natura, e infliggere loro delle strategie di pensiero che sentono come una forzatura, e una dissonanza cognitiva molto spiacevole. E imparare, e cambiare, non deve aggiungere tortura alla fatica.
Nicola Giaconi, psicologo. Creatore di Trovare il Lavoro che Piace e Job-Club.it
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